Oggi abbiamo una missione: raccontare la Torre Velasca, farvela conoscere, e se tutto va bene farvela anche piacere. Ebbene sì, esistono cose che dividono parecchio, come la birra: o le ami o le odi. Chiunque abbia il piacere come noi di raccontare la città sa bene che la nostra “birra” è la Torre Velasca: chi la ama profondamente ne riconosce il grande valore simbolico, chi la considera di una bruttezza disarmante la definisce niente di più che una enorme “colata di cemento”.

Noi naturalmente apparteniamo alla prima fazione, e per questo vogliamo provare anche qui a farvela apprezzare, come facciamo sempre durante i nostri tour, riuscendoci quasi sempre. La nostra missione? Farvela conoscere in 8 punti.

1- Gli autori: i mitici BBPR e Arturo Danusso

Il nome BBPR nasce nel 1932 dall’acronimo dei cognomi dei suoi fondatori, un gruppo di giovani, affiatati e visionari architetti che è doveroso ricordare qui per intero: Gian Luigi Banfi, Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peresutti ed Ernesto Nathan Rogers. Banfi, deportato a Mauthausen nel 1944, perì nel vicino campo di Gusen un anno dopo. I compagni lo vollero ricordare per sempre mantenendo integro il nome del gruppo e firmando nel 1946 il Monumento ai Caduti nei Campi di Concentramento nell’emiciclo del Cimitero Monumentale. Risale invece al 2017 la posa della pietra d’inciampo posta in memoria di Banfi davanti quello che fu lo studio BBPR in via dei Chiostri 2, a Milano.

Il gruppo è autore di numerosi importanti edifici in città, ma l’intervento che amiamo di più è senz’altro l’allestimento del Museo di Arte Antica presso i Musei civici del Castello Sforzesco, di cui vi  parleremo senz’altro in uno dei prossimi post.

Fu invece affidato all’ingegnere Arturo Danusso lo studio della complessa parte strutturale.

2- Il progetto

Parliamo ora di architettura: siamo in pieno Razionalismo e la città è ancora impegnata nella ricostruzione post bellica. La torre, situata in un’area devastata dai bombardamenti del ’43, è uno degli esempi più noti del brutalismo italiano, il movimento di quegli anni, e viene spesso definita neo-gotica proprio per il suo intento di omaggiare con le sue forme la storia della città.

L’edificio è suddiviso in tre zone ben distinte che si sviluppano in altezza. La base è dedicata al terziario: i primi due piani dedicati al commercio, uffici fino all’undicesimo piano e studi professionali con abitazioni annesse fino al diciassettesimo. Nella parte superiore dell’edificio, quella aggettante, troviamo invece sette piani di abitazioni private.

3- L’idea

L’intento dei BBPR era di omaggiare la città, sposando appieno quella corrente del razionalismo che – usando le parole dello stesso Rogers – doveva tenere conto delle “preesistenze ambientali” di una città che nel anni Cinquanta si stava sviluppando in altezza, stravolgendo uno skyline a cui i milanesi erano abituati da secoli, dominato da torri e campanili. La torre diventa quindi un omaggio a queste preesistenze, richiamando nelle forme e nei colori una delle più note torri presenti in città: la torre di Bona di Savoia nel cortile delle Armi del Castello Sforzesco, edificata nel lontano 1476.

4- Il nome

L’intera area dell’attuale Piazza Missori, situata all’imbocco di quell’importantissimo asse viario che ancora oggi a distanza di due millenni porta il nome di Corso di Porta Romana, divenne particolarmente importante anche in età spagnola. L’area in cui ora sorge la nostra torre fu intitolata tempo addietro a Juan Fernández de Velasco, governatore spagnolo della città di Milano nel XVII secolo: da qui l’origine del nome.

5- Diamo i numeri

1951-1958 dal progetto all’inaugurazione

26 piani

72 appartamenti

800 il numero totale delle unità immobiliari inizialmente previste

106 metri di altezza

6- La silhouette    

La forma della Torre Velasca è senz’altro l’elemento più caratterizzante dell’edificio. Da qui i due soprannomi con cui i milanesi l’hanno sempre chiamata: “la torre con le bretelle”, a causa delle travature di sostegno della parte aggettante, e “il fungo”… inutile raccontarvi perché.

7- I materiali

Cemento armato, graniglia di cotto e graniglia di marmi rosa veronesi. Scelta casuale? Certamente no, per due motivi: uno pratico e uno nobile. La scelta del cemento armato garantisce una notevole riduzione dei costi. L’utilizzo della graniglia di colore rosso invece evoca il rosso del mattone, sottolineando ancora una volta la volontà di omaggiare, non solo nelle forme, le architetture del passato glorioso della città Viscontea e Sforzesca.

8- Qualche curiosità

E’ un edificio che si chiama “torre”, eppure altrove lo avremmo chiamato grattacielo. Forse non tutti sanno che… questa è un’usanza tutta milanese. Ci avevate mai fatto caso?

Abbiamo parlato dei suoi 106 metri altezza… ricordate? Ora pensate alla nostra Madonnina, e ai suoi 108,5 metri di altezza. La tradizione milanese voleva che nessun edificio superasse la nostra Madonnina, che seppur mica tanto “piscinina” – misura 4 metri di altezza – doveva simbolicamente continuare a dominare la città. Per questo motivo i BBPR si fermarono due metri più in basso.

Non è un caso che uno dei migliori punti di osservazione sulla torre siano le terrazze del Duomo, lato sud, dove i santi delle guglie che ricordano tanto i nostri umarell hanno avuto uno sguardo privilegiato sul cantiere della torre.

Il nostro tour virtuale alla torre Velasca termina qui. Se già la amavate, come noi, speriamo di avervi raccontato qualcosa che non conoscevate.

Se invece appartenete alla fazione opposta, quella dei detrattori, speriamo almeno di avervela fatta conoscere un po’ di più, aiutandovi a rendere il vostro giudizio un po’ meno severo, e raggiungendo quello che consideriamo un ottimo traguardo: farvi passare da un totalizzante “è brutta!” ad un semplice “non mi piace”.