Esiste una vignetta di fine Ottocento in cui un giovane a bordo di un velocipede viene multato dal sindaco per guida pericolosa, mentre si trovava sui bastioni della città. Erano anni, quelli, in cui era sì possibile passeggiare per le strade – a differenza di adesso – ma era necessario rispettare divieti piuttosto importanti, come usare il cavallo o andare troppo veloce sul velocipede. Facile, vero? Non per tutti. Fausto e Giuseppe, due fratelli dall’indole piuttosto originale, si aggiravano tra le vie del centro attirando l’attenzione e infrangendo spesso le regole. A volte proprio a cavallo, altre invece a bordo di un aerostato, oppure guidando un biciclo. Furono proprio i due a diffondere l’uso di questo nuovissimo mezzo di trasporto nella Milano di fine Ottocento, non solo collezionando multe ma vincendo anche gare importanti.

Prendiamo spunto dalla storia di Fausto e Giuseppe per accompagnarvi, restando a casa, in una casa davvero speciale. Un luogo incredibile, nascosto in quel quartiere che ora chiamiamo “quadrilatero della moda” ma che un tempo era fatto di “borghi”, termine sopravvissuto in gran parte della toponomastica della zona.

Tra via Montenapoleone, via Sant’Andrea e via del Gesù si trova la Casa Museo Bagatti Valsecchi, dal nome della nobile casata cui appartenevano i dei due fratelli Fausto e Giuseppe, tra i più originali protagonisti di quella Milano ormai lontana dai tumulti del ’48 che in pieno periodo post-unitario poteva vantare una vivacità culturale senza pari.

In questo momento, proprio sulla scia dello storicismo che caratterizza i primi decenni dell’Ottocento, venne naturale la necessità di individuare una forte identità culturale cui far riferimento per raccontare la città. I nobili Milanesi erano ormai avvezzi a feste a tema con ambientazioni del passato. Impossibile dimenticare la festa organizzata dal conte ungherese Batthyany nel 1828, i cui costumi furono disegnati proprio da Francesco Hayez – che si presentò all’evento vestito da Giulio Romano.

Torniamo ai nostri Fausto e Giuseppe, nati a un paio di anni di distanza l’uno dall’altro negli anni Quaranta dell’Ottocento. Il frutto non cade lontano dall’albero, si dice: Pietro, il padre dei due – che fu presente alla festa del conte ungherese –  è ancora oggi ricordato come uno dei migliori miniaturisti dell’Ottocento, abile in un’arte ripescata proprio dal lontano Medioevo, capace di lavorare avorio, lacche e smalti come un artigiano del passato. E’ facile comprendere il motivo per il quale i due fratelli decisero di dedicare parte della loro vita all’evocazione del Rinascimento: quale miglior periodo, per la nostra città, della memorabile età dei Visconti e degli Sforza? Dopo di loro, per più di tre secoli il governo della città fu in mano a francesi, spagnoli e austriaci, fino al raggiungimento della tanto agognata Unità d’Italia, al termine di decenni di tumulti che investirono tutto lo stivale. Fu così che l’architettura milanese di fine Ottocento, in pieno eclettismo, individuò il suo periodo storico di riferimento, e iniziò a prediligere forme e richiami al’architettura rinascimentale – la facciata di Casa Manzoni vi dice qualcosa?

Identità culturale, dicevamo: Fausto e Giuseppe non si tirarono indietro, e la loro dimora dal doppio affaccio su via Santo Spirito e via del Gesù, la cui facciata venne inaugurata nel 1883, divenne protagonista di questo gioco all’antica di sapore quattrocentesco. Arredi originali – bauli, sedie, camini – affreschi, dipinti, persino inserti architettonici originali vennero usati per allestire il primo piano di Palazzo Bagatti Valsecchi.

Le più abili maestranze dell’epoca furono coinvolte in questo progetto, con un continuo lavoro di adeguamento di forme e materiali allo scopo di fingere un salto indietro nel tempo. Abili artigiani lavorarono legni, marmi, ferri battuti e preziosi broccati evocando forme del passato.

Eppure i due non rinunciarono ai comfort di cui potevano godere i nobili nell’Ottocento – e che Ludovico il Moro sicuramente si sognava! Ecco quindi un pianoforte nascosto dentro ad un ricco mobile in legno, una fontana di gusto rinascimentale usata come doccia, un vecchio bacile in cui sono nascoste le tubature per l’acqua corrente.

I due vissero realmente in quella casa, divisa in due appartamenti. Il più austero per Fausto – che rimase scapolo, e uno più grande destinato a Giuseppe, alla moglie Carolina Borromeo e ai loro tre figli, che crebbero usando mobili per bambini in legno del XVI secolo – come la piccola “comoda” che pare un trono. Nel mezzo, una galleria d’armi – come da tradizione nelle più importanti dimore dell’epoca – e un grande salone per le feste con le pareti rivestite di tappezzerie in stoffa di meravigliosa fattura su cui spicca lo stemma di famiglia – BaVa – simbolo del museo.

Visitare la casa-museo Bagatti Valsecchi è un’esperienza incredibile: impossibile non sentirsi trasportati in una dimensione spaziotemporale quasi sospesa, camminando sullo scricchiolante parquet in legno e restando stregati dal fascino quattrocentesco di ogni dettaglio, a partire dai grandi camini fino al più piccolo degli oggetti presenti nel museo.

Servirebbero pagine e pagine per raccontarne ogni dettaglio, ma dobbiamo pazientare ancora un po’, per tornare con voi a passeggiare nelle sue sale e tornare a sentirne l’essenza, guidandovi in un “viaggio nel passato… dentro al passato” in una delle case museo più belle al mondo, aperta al pubblico solo nel 1994 e forse per questo una delle meglio preservate.